Allergia alimentare nei bambini

Come si fa a capire se il tuo bambino ha un’allergia alimentare

Innanzitutto ripassiamo il concetto di allergia: è una risposta anomala del sistema immunitario, scatenata dal contatto con un allergene con cui il nostro organismo viene ripetutamente in contatto e nei confronti dei quali si “sensibilizza“.
Trattando qui il capitolo delle allergie alimentari, l’allergene in questione è un alimento che, pur essendo assunto senza problemi dalla maggioranza degli individui, nei soggetti geneticamente predisposti (familiarità) e successivamente sensibilizzati, può dare reazioni allergiche la cui severità dipende dal grado di sensibilizzazione dell’individuo stesso. Potenzialmente qualunque alimento è in grado di indurre allergia, infatti sono stati riportati più di 170 alimenti come causa di reazioni allergiche anche se solo una minoranza di questi è responsabile della maggior parte delle reazioni.

Le allergie alimentari sono un problema in costante aumento, soprattutto nei bambini: in Italia oggi il 20% dei soggetti in età evolutiva soffre di problemi di allergia (mentre negli anni Novanta ne soffriva solo il 7%).

Se il bambino nasce con una forte predisposizione familiare allergica, le proteine contenute negli alimenti più frequentemente assunti (come per es. il latte di mucca, le uova, il pesce, il pomodoro, il grano, etc.) possono sensibilizzare il bambino e provocare reazioni allergiche. Le proteine del latte vaccino sono le prime da tenere sotto controllo in quanto le formule artificiali che sostituiscono il latte materno sono a base di latte di mucca. In seguito, numerosi altri alimenti possono causare allergia. I più frequenti sono: l’uovo, il grano, la soia. E poi con la crescita anche il pesce (merluzzo, trota, sogliola), alcuni tipi di frutta a guscio (noce brasiliana, mandorle, nocciole, arachidi) e i legumi.

Uno dei primi elementi che può indurre più facilmente a sospettare di un’allergia alimentare è la stretta correlazione tra l’insorgenza dei sintomi e l’ingestione di un alimento. In genere il bambino comincia a manifestare i primi disturbi dopo pochi minuti, o anche già durante, l’assunzione del cibo.

Le allergie alimentari comprendono un ampio spettro di disturbi, come abbiamo detto sopra, dovuti a questa risposta immunologica anomala agli antigeni alimentari. Le reazioni IgE-mediate sono più comuni e inducono una varietà di sintomi che possono manifestarsi con rossore, prurito della pelle e/o orticaria, nausea, dolore addominale e/o vomito, con broncospasmo da lieve a grave e problemi respiratori, ipotensione, fino al collasso cardiocircolatorio. Esistono inoltre una certa quota di reazioni non IgE mediate quali esofagite eosinofila, colite eosinofila ed enterocolite indotta da proteine alimentari. Più raramente la dermatite atopica può essere espressione di una allergia alimentare di tipo ritardato.

La corretta gestione delle allergie alimentari deve partire sempre da una corretta diagnosi al fine di evitare di eliminare dalla dieta del bambino alimenti invece importanti per la sua crescita.

Non esiste un test di laboratorio che da solo possa identificare o escludere un’allergia alimentare. Si tratta bensì di un percorso diagnostico che comprende una storia clinica dettagliata, studi di laboratorio (test cutanei e / o la ricerca delle IgE per specifici prodotti alimentari, e spesso il test di provocazione per via orale), un’educazione rigorosa alla prevenzione alimentare, la fornitura di un piano di emergenza e la prescrizione di farmaci (ad esempio, antistaminici, steroidi e l’adrenalina autoiniettabile-in casi particolari-) per il trattamento di ingestioni accidentali.

Dopo aver effettuato una visita specialistica allergologica è possibile effettuare tutti gli esami di laboratorio per una corretta diagnosi.

Il primo esame diagnostico che si esegue è il prick test, un test cutaneo che prevede l’apposizione sulle braccia del paziente di una goccia di estratti degli allergeni più significativi per quel paziente che viene successivamente fatta penetrare nella pelle mediante una minima puntura con lancette sterili monouso. Qualora il bambino sia allergico, nell’arco di 15-20 minuti comparirà un pomfo nella sede della puntura e il test sarà considerato positivo. In casi di di non disponibilità di un estratto allergenico per l’alimento sospetto o per aumentare la sensibilità del test, può essere eseguito il prick-by-prick, che consiste nell’utilizzare alimenti freschi. I prick test sono attendibili a qualsiasi età poiché la positività cutanea è correlata con il grado di sensibilizzazione(basti pensare al prick by prick che viene eseguito nelle prime settimane di vita con i latti formulati).

L’eventuale presenza delle IgE specifiche per allergeni alimentari può essere rilevata anche attraverso un prelievo di sangue. Il dosaggio delle IgE specifiche rappresenta il passo complementare o l’alternativa ai prick test per effettuare la diagnosi di allergia alimentare in casi particolari come la presenza di dermatiti estese o terapie in atto che interferiscono con l’esecuzione dei prick test (ad esempio antistaminici).

La positività dei test non stabilisce tuttavia una relazione sicura di causa-effetto tra l’assunzione dell’alimento e la comparsa della reazione allergica.

Per tale motivo, va instaurata una dieta “diagnostica” di esclusione dell’alimento o degli alimenti sospettati, per un periodo breve variabile da 7 a 21 giorni, per verificare il miglioramento dei sintomi con l’eliminazione di alcuni allergeni. Alla dieta di esclusione, deve far seguito un test di reintroduzione dell’alimento. Tale test consiste nella somministrazione per bocca di quantità dell’alimento a dosaggi crescenti e definiti in base alle caratteristiche dei sintomi e delle reazioni del bambino. Il test va eseguito in ambiente “protetto” sotto la supervisione di personale competente nella valutazione delle eventuali reazioni e in grado di intervenire in maniera appropriata qualora queste si manifestassero.

Quando rimane ancora qualche dubbio sulla necessità di eliminare o meno alcuni alimenti lo specialista ricorre agli esami di diagnostica molecolare che permettono di identificare al meglio il “principale responsabile” della sensibilizzazione che andrà eliminato, consentendo invece agli altri alimenti che reagiscono in “modo crociato” di poter essere mantenuti nella dieta del nostro bambino evitando inutili privazioni.